|
Il
Vayont di Pansa Prepariamoci al terremoto Gian Paolo Pansa,
domenica scorsa su “Libero quotidiano”, ha ricordato la tragedia del Vayont
per far capire come gli italiani non si accorgano quasi mai delle disgrazie
che li interessano. Senza bisogno di tornare al Vayont, avvenuto più di 50
anni fa, andrebbe detto che anche quando venne giù il partito socialista
nelle inchieste di “mani pulite”, c’era chi era convinto che Craxi se la fosse meritata, senza accorgersi minimamente di cosa
stesse davvero accadendo nella politica italiana, ovvero qualcosa di molto
simile ad un crollo del monte Toc. In tanti anni di professione, Pansa ha
maturato anche un gusto dello scrivere portato al paradosso, senza contare
che nei suoi geni c’è la provocazione professionale, quella coltivata negli
anni d’oro de “l’Espresso”, se non altro per cercare di scuotere il
panciafichismo italico dai luoghi comuni che lo tediano da sempre. Un certo
fiuto, bisogna riconoscerlo, tanto che quando annuncia il nuovo Vayont della
vita politica italiana, ci sono sicuramente degli elementi tali da dargli
ragione. Lo scandalo della capitale sicuramente non è stato ancora valutato
nelle sue debite proporzioni, altrimenti il sindaco Marino non andrebbe in
televisione a dire che con lui si è arginato il fenomeno mafioso, si
nasconderebbe. Il suo comitato elettorale è stato finanziato da Buzzi, se mai
fosse successo qualcosa del genere ai tempi di Mario Chiesa, scattavano le
manette. Un sondaggio da il Pd romano al 17% dato
sufficientemente eloquente per scrivere come Pansa che quel partito, a Roma
per lo meno, è morto. Poi ci sarebbe magari da capire se è tutta colpa della
corruzione romana o dello scontro politico istituzionale che lo attanaglia,
In ogni caso il doppio scenario è pari a quello devastante che investì la
democrazia cristiana nel 1992. Anche meglio di Pansa conosciamo cosa
significa vivere e morire dei partiti politici. E i sintomi che arrivano dal
Pd, ci sembrano inequivocabili. Nel momento nel quale si è prossimi ad un
nuovo grande crollo, bisogna però capire che cosa possa salvarsi o
sostituirsi al disastro. Pansa offre una prospettiva suggestiva e di
attualità, il califfato, ovvero il potere personale di alcuni individui che
già si è esteso alla società, attraverso le forme istituzionali che
conosciamo, i governatori di regione ad esempio. Non ci sono più mediazioni
democratiche, vere e proprie, ci sono personalità che dispongono di un potere
locale da esercitare magari senza l’uso della violenza caratteristico
dell’epopea dei signori della guerra in Cina e meno male. Coloro che nel
disastro generale hanno saputo mantener salde le loro strutture di nicchia,
vuoi per fortuna, vuoi per abilità, vuoi per farsi bene gli affari propri,
pensano di poter esercitare una funzione di potere in modo di supplire alla
democrazia dissolta. La possibilità esiste davverp, perché le fasi di
involuzione politica della storia, come il suo degrado sono infinite. Allora
siamo d’accordo con Pansa quando scrive del prossimo
nuovo terremoto politico. Poi, per quello che ci riguarda, siamo morti tante
di quelle volte come partito, da fare invidia ai protagonisti dei romanzi di
Bassani. L’ultima cosa che faremo con un fiato in gola è cedere alle pretese
di qualche califfato esterno od interno, al nostro stesso partito. Roma, 9 Giugno 2015 |
|